«Comunicare con gli IN-book»,
di Antonella Costantino
Rivista LiBer, nº. 98 (2013), p. 46-47
Potremmo dire che un sistema di CAA è una specie di “traduttore immediato continuo” tra il sistema di comunicazione dell’altro ed il nostro. I simboli sono uno degli elementi fondamentali, rappresentano una vera e propria seconda lingua visiva che affianca quella uditiva. Possono anche essere usati strumenti digitali programmati per “prestare” la voce quando necessario, o tecnologie informatiche e strumenti computerizzati appositamente adattati fino ad arrivare all’uso del controllo di sguardo, o modalità che consentano di leggere o scrivere anche a coloro che non sono in grado di usare l’alfabeto o la penna”).
«Realtà vs stereotipi», di Antonella Lamberti e Selene Ballerini
Articolo tratto da LiBer, n. 113 (2017), p.46-47
“I bambini di oggi “non hanno mai visto vitelli, vacche, maiali o covate”; la natura per loro è un orizzonte ludico o turistico; abitano nelle città (o nelle campagne urbanizzate); non conducono la nostra stessa vita fisica; hanno una speranza di vita di ottant’anni (quindi molte vite, molte stagioni davanti, e sentieri che si diramano presto in più direzioni); è difficile parlare per loro di una genealogia (e di una casa) di famiglia; non hanno conosciuto la guerra e non hanno sofferto la fame, come anche i loro genitori e insegnanti; la loro nascita è programmata e più della metà dei genitori ha divorziato; vivono in famiglie con una configurazione plurale e mutevole; “studiano all’interno di una collettività in cui svariate religioni, lingue, provenienze e consuetudini stanno una accanto all’altra”; abitano il virtuale; gestiscono molte informazioni allo stesso tempo; attraverso il cellulare, si connettono con tutti; con il GPS, raggiungono ogni luogo; con la rete arrivano potenzialmente all’intero sapere; sono “formattati” dai media e dalla pubblicità, “diffusi da adulti che hanno meticolosamente distrutto la loro facoltà di attenzione riducendo la durata delle immagini a sette secondi e il tempo di risposta alle domande a quindici”; gli adulti li costringono a vedere oltre 20.000 omicidi; non parlano più la nostra lingua e scrivono diversamente da noi premendo velocemente con i pollici ogni genere di dispositivo, ed è per questo che Michel Serres chiama i nuovi ragazzi con un antico nome fiabesco: Pollicina o Pollicino (il dito più tozzo e più rigido si è preso una rivincita, diventando centrale nella modernità)”.
«La città e il pollice», di Giancarlo Paba
Articolo tratto da LiBer, n. 101 (2014), p.42-44
“I bambini di oggi “non hanno mai visto vitelli, vacche, maiali o covate”; la natura per loro è un orizzonte ludico o turistico; abitano nelle città (o nelle campagne urbanizzate); non conducono la nostra stessa vita fisica; hanno una speranza di vita di ottant’anni (quindi molte vite, molte stagioni davanti, e sentieri che si diramano presto in più direzioni); è difficile parlare per loro di una genealogia (e di una casa) di famiglia; non hanno conosciuto la guerra e non hanno sofferto la fame, come anche i loro genitori e insegnanti; la loro nascita è programmata e più della metà dei genitori ha divorziato; vivono in famiglie con una configurazione plurale e mutevole; “studiano all’interno di una collettività in cui svariate religioni, lingue, provenienze e consuetudini stanno una accanto all’altra”; abitano il virtuale; gestiscono molte informazioni allo stesso tempo; attraverso il cellulare, si connettono con tutti; con il GPS, raggiungono ogni luogo; con la rete arrivano potenzialmente all’intero sapere; sono “formattati” dai media e dalla pubblicità, “diffusi da adulti che hanno meticolosamente distrutto la loro facoltà di attenzione riducendo la durata delle immagini a sette secondi e il tempo di risposta alle domande a quindici”; gli adulti li costringono a vedere oltre 20.000 omicidi; non parlano più la nostra lingua e scrivono diversamente da noi premendo velocemente con i pollici ogni genere di dispositivo, ed è per questo che Michel Serres chiama i nuovi ragazzi con un antico nome fiabesco: Pollicina o Pollicino (il dito più tozzo e più rigido si è preso una rivincita, diventando centrale nella modernità)”).
Articolo tratto da LiBer, n. 101 (2014), p. 29
Raccontare la guerra con l’avventura
Intervista di Paola Benadusi Marzocca a Lia Levi,
Lia Levi intervistata da Paola Benadusi Marzocca (Raccontare la guerra con l’avventura: “D. Quali sentimenti suscita nei ragazzi la guerra, curiosità o paura? R. Forse entrambe, perché quando si è molto giovani difficilmente ci sfiora l’idea della morte: è qualcosa che sembra riguardare altri. La guerra oggi è quasi endemica e, anche se non ci coinvolge direttamente, con la globalizzazione sembra più vicina: i ragazzi vedono continuamente in televisione scene di guerra.Viviamo in un’epoca conflittuale, esasperata e delusa. Fin dai primordi del genere umano l’affermazione del proprio potere ha presupposto la lotta ed è la figura dell’eroe che simboleggia l’eterno contrasto fra male e bene anche se quasi tutti gli eroi hanno il loro tallone di Achille”.
A cura di Giulia Natale
Articolo tratto dalla rivista LiBer, n. 116 (2017), p. 32-34
Le risorse digitali ci aiutano a costruire nel lettore con disabilità nuove importanti consapevolezze, in una personalizzazione dell’apprendimento che garantisce riusltati concreti e tangibili.
A cura di Elena Corniglia
Articolo tratto dalla rivista LiBer, n. 101 (2014), p. 52-53
“Nelle parole mi ci perdo, nelle figure mi ci trovo”. Il pensiero di Roberto Innocenti, espresso durante la cerimonia di consegna del premio Andersen nel 2008, è un manifesto forse inconsapevole che molti giovani, aspiranti lettori o lettori riluttanti, potrebbero sottoscrivere al volo. Le immagini vantano infatti un potere comunicativo che difficilmente lascia indifferenti e che non sempre è parimenti riscontrabile nei testi scritti. Non solo, esse svelano potenzialità inattese anche nei confronti di bambini che presentano necessità particolari, rendendo estremamente interessante l’incontro tra disabilità o Bisogni Educativi Speciali e narrazioni in punta di pennello. Ecco perché i libri senza parole, che affidano l’intera funzione di racconto al solo codice iconico, si rivelano opportunità di lettura, scoperta, riparo e condivisione ad ampio raggio.»
A cura di Annalisa Brunelli e Giovanna Di Pasquale.
Laura Russo è una delle responsabili della collana “leggimi!” della casa editrice Sinnos, nata nel 1990 come cooperativa, nel carcere di Rebibbia. Dai servizi di prestampa per case editrici amiche ai primi libri il passo è stato breve.
Articolo tratto dalla rivista HP-Accaparlante, nº 3-2011, (pag.56-60)
di Beniamino Sidoti.
Esperimenti, cartine, collezioni: la meraviglia del mondo la si scopre osservando e vivendo la natura,
in un approccio diretto che predispone all’esperimento prima che alla descrizione.
La metodologia dell’esplorazione naturalistica nei libri per bambini e ragazzi.
Articolo tratto dalla Rivista LiBer, n. 106 (2015), p. 45-47
di Elena Corniglia.
L’editoria si rivolge a bambini e ragazzi con disabilità attraverso numerose proposte: è necessario puntare a libri che sposino la qualità progettuale al rispetto delle esigenze specifiche dei piccoli lettori.
Articolo tratto dalla Rivista LiBer, n. 116 (2017), p. 18-20
di Javier Flor Rebanal.
Frammento tratto dall’articolo della rivista spagnola Peonza, n. 135 (2021), p. 25-27. Traduzione a cura di Belén Sotelo
Mafalda è uno dei personaggi più famosi dei fumetti, con “ammiratori” in più di trenta paesi, inclusa l’Argentina, Paese in cui nacque e morì.
Il suo atto di nascita dice: Buenos Aires, 29 settembre 1964. Suo padre, Joaquín Salvador Lavado, detto Quino, di professione umorista grafico, la iscrisse quel giorno nelle pagine della rivista Primera Plana.
Sua mamma è Raquel, così viene nominata in diverse strisce. I suoi nonni, quelli di Quino, spagnoli. I suoi amici: Manolito, Felipe, Susanita, Miguelito, Libertad. La sua casa: Via Chile 371, nel popolare quartiere San Telmo, non molto lontano da “La casa Rosa”, il colore che gli argentini hanno scelto per il centro del suo governo. Ottimisti. […]
Cos’è l’amore secondo Mafalda?
Una domanda universale alla quale Mafalda risponde con la sua particolare misto di saggezza e senso dell’umorismo:
“Voi cosa pensate dell’amore, Manolito?” chiede Susanita al suo amico.
“Dell’amore a cosa?”
Perché l’amore non deve essere per forza verso qualcuno, nemmeno essere un amore romantico e sdolcinato, oppure tormentato e segreto, o essere vincolato ad una persona.
In un’altra striscia, Manolito si trova circondato da uccelli e farfalle propri della primavera, la “stagione dell’amore”:
“Ecco la primavera con il suo solito assortimento” dice Manolito.
Anche questo è amore -o no- verso la primavera.
Chi conosce Mafalda sa che Quino non la farebbe mai protagonista di storie di principesse o di un amore romantico. È alla sua amica Susanita che corrispondono quei cliché, in una versione così esasperata da risultare irrimediabilmente comica.
In una striscia Mafalda e Manolito conversano sull’amore, lei lo descrive come “galleggiare tra tulle mentre ascolti musica di violini”, ma per lui, invece, è come “dondolare su di un’amaca mentre fai casino con un tamburo”.
Per tanto, l’amore secondo Mafalda, e quindi secondo Quino, parla molto di più di amicizia, compassione, empatia e solidarietà, di amore per l’altro e per sé stessi e di amore per le piccole cose della vita: la radio, i Beatles, Picchiarello, i libri o le caramelle.
E, naturalmente, ci parla anche del suo opposto: l’odio, la gelosia, l’incomprensione, l’egoismo.
Quino lo sa: l’immaginazione di una bambina è molto più grande di quello che ci dicono.