I guardiani della luna e del sole sono ormai anziani ed è ora che designino il loro successore. Le redini del sole passano a Sohone, che si allena da sempre allo scopo, mentre la custodia della luna viene affidata inaspettatamente al piccolo fauno Mune, che non si sente all’altezza e non sa dove mettere le mani. Al punto che combina un guaio e mette il guardiano delle tenebre nella condizione di rubare il sole. Mune e Sohone si alleano, dunque, per partire alla ricerca dell’astro perduto. Con loro c’è la bella e fragile Glin, fatta di cera, in pericolo al caldo come al freddo, ma più coraggiosa che mai.
Si rimane a bocca aperta di fronte a Mune, man mano che si fa sempre più chiaro che non è la trama a contare in questo caso, e che la vera avventura cui siamo chiamati a partecipare è un’avventura estetica, l’immersione in un poema visivo.
Nella cosmogonia immaginata da Benoit Philippon e Alexandre Heboyan, l’alternarsi del giorno e della notte è assicurato dall’incedere di due “templi”, due creature mitologiche di fattezze animalesche e proporzioni colossali, a loro volta affidate alla guida dei due rispettivi guardiani. Il tempio del giorno trascina il sole lungo il pianeta, mentre la luna è legata al tempio della notte.